L‘argomento è di quelli spinosi che ti fanno sospirare dicendo, “ma non c’è speranza allora…”. Davanti a questo problema ho visto pure i più convinti nella rivoluzione green, abbozzare un sorriso nervosi, lo sguardo incrinato da una vena di pessimismo che tradiva il pensiero “qua non c’è via d’uscita”.
Parliamo delle microplastiche che derivano dal lavaggio dei nostri vestiti sintetici e in particolar modo dai nostri amati sofficissimi caldissimi pile, che con grande orgoglio abbiamo comprato credendo di fare un bene al pianeta (perché fatti con fibre ricavate dalle bottiglie di plastica). E invece no. Quando li laviamo micro-frammenti dovuti allo strofinamento durante il lavaggio, finiscono negli scarichi, che finiscono nei nostri sistemi di depurazione, che non sono in grado di trattenerli. In questo modo le microplastiche passano inosservate e arrivano fino al mare. Qui sono così piccole che vengono assimilate dal plancton e si accumulano via via su risalendo nella catena alimentare arrivando anche a noi umani. Il problema è sempre più noto e ammetto piuttosto frustante: ma non dovevo salvare il pianeta usando solo pile?
Chi ci segue sa che noi cerchiamo i problemi ma ancora di più amiamo le soluzioni. Ed infatti ecco qua cosa possiamo fare:
Da due autorevoli fonti 1,2 troviamo il vademecum per lavare i nostri capi sintetici:
Anche la tecnologia può giocare il suo ruolo per risolvere questo problema. Mentre aspettiamo che vengano inventate lavatrici con filtri in grado di trattenere queste minuscole fibre o tessuti sintetici in grado di non rilasciare microfibre durante il lavaggio, un’azienda tedesca ha inventato la Guppyfrieds washing bag. Buste in materiale plastico per lavare vestiti sintetici che trattengono le microfibre che a loro volta non ne producono altre.
Ora resta a noi decidere quale azione intraprendere.
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